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Il Futuro Di Facebook Tra Fact-checking, Credibilità E Censura

Il futuro di Facebook tra fact-checking, credibilità e censura

di Gianluca Comin

dopo oltre 15 anni di esistenza, Facebook continua a detenere il primato di social network più usato al mondo con ben 2,38 miliardi di utenti attivi mensili. Proprio dal 2004, anno della sua fondazione, il social e il suo creatore, Mark Zuckerberg, sono al centro di continui dibattiti e aspre polemiche.

Non da ultima, la controversia relativa all’eliminazione dei profili che si sono esposti a favore delle popolazioni curde. Come accaduto per l’oscuramento di altri account, Facebook ha motivato le sue azioni sostenendo che nel social «non c’è spazio per le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri».

Sembrerebbe, dunque, che Facebook abbia intrapreso costanti azioni di controllo al fine di incoraggiare, nello spazio digitale, la possibilità di esprimersi e creare un ambiente sicuro, impedendo atti di violenza. Limitare, per quanto possibile, l’inneggiamento alle azioni di guerra e all’odio che violano gli standard della community rappresenta uno dei pilastri della politica di Facebook.

QUEL VIDEO FAKE SU BIDEN PUBBLICATO DA TRUMP

Questa politica, però, sembra in netto contrasto con la decisione dell’azienda di non sottoporre a fact-checking gli annunci a pagamento dei politici, dando spesso vita a controversie e alimentando la diffusione di fake news. Non si tratta solo del fatto che molti degli amministratori delle pagine pro-curdi oscurati sostengano di non aver violato gli standard dei social e di aver pubblicato esclusivamente articoli tratti da agenzie stampa e testate locali, sempre con il loro permesso e sempre con la fonte segnalata in calce, ma della questione legata alla pubblicità politica, alla diffusione dei suoi messaggi spesso falsi e, talvolta, addirittura diffamatori. Il recente video pubblicato del presidente statunitense Donald Trump, promosso a pagamento, è un caso esemplare ma non isolato.

Nel video veniva riportata la (falsa) promessa fatta da Joe Biden, uno dei principali candidati alle primarie dei Democratici per le elezioni del 2020, al governo ucraino. Questo avrebbe infatti garantito un miliardo di dollari in cambio del licenziamento del procuratore generale che stava indagando sul figlio Hunter. Sorprendente, dunque, che uno dei leader più influenti al mondo abbia utilizzato la pubblicità a pagamento su Facebook per screditare un rivale. Alla luce di questi fatti, Elizabeth Warren, candidata del Partito democratico delle Presidenziali del 2020, ha deciso di sfidare Facebook sponsorizzando una fake news proprio su Mark Zuckerberg, nella quale si affermava che il fondatore del social appoggiasse l’attuale presidente degli Stati Uniti.

GLI STRUMENTI DI FACEBOOK CONTRO DIFFAMAZIONE E CENSURA NON BASTANO

Una lotta alla luce del giorno che non sembra avere fine a breve. La possibilità di fare appello predisposta da Facebook nel 2018, nel caso si verifichino casi controversi di censura o diffamazione, garantendo il ripristino dei contenuti quando riconosciuti come vittime di errore, non sembra bastare, anzi. Un piccolo diversivo che dimostra come le guerre non si giochino esclusivamente sui campi di battaglia, ma anche, e forse soprattutto, su quelli dell’informazione.

Proprio su quest’ultimo punto si è soffermato lo stesso Mark Zuckerberg nel discorso da lui stesso tenuto un paio di settimane fa, all’università di Georgetown. Facendo eco al linguaggio del XVIII secolo, quando la gente ha iniziato a parlare di giornalisti della stampa come un «quarto patrimonio», che coesiste con tre livelli esistenti nel parlamento britannico, Zuckerberg ha definito Facebook come parte del «Fifth Estate». Il termine degli Anni 60, che si riferisce a una controcultura di giornalisti e intellettuali esterni critici nei confronti della società tradizionale, è associato all’omonima rivista anarchica nordamericana di Detroit, che lottava, tra l’altro, contro il capitalismo.

LE CONTRADDIZIONI DI ZUCKERBERG

Singolare, dunque, come Zuckerberg parli e sponsorizzi la sua azienda, quando invece Facebook sembra essere diventato uno dei fiori all’occhiello del capitalismo di sorveglianzacanale di disinformazione con fini di lucro che, talvolta, si appella ai propri “community standard” per oscurare profili e pagine, spesso in maniera erronea. Nel corso del suo discorso Zuckerberg ha più volte sottolineato l’importanza della libertà di parola che lui stesso e la sua azienda cercano di garantire e preservare.

Un quadro distorto, dunque, rispetto al funzionamento della piattaforma stessa. Quel che è certo è che, dinnanzi a tanto disordine, l’azienda dovrà essere frenata dalla regolamentazione e se nell’Unione europea gli utenti di internet hanno il «diritto di essere dimenticati», questo non sembra ancora essere vero per la piattaforma e il suo fondatore e gli utenti, politici e non, dovranno prestare sempre maggiore attenzione ai messaggi che intendono far passare attraverso questo strumento.

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