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Reputazione, Le Regole Del Gioco Per Costruirne Una Solida

Reputazione, le regole del gioco per costruirne una solida

di Gianluca Comin

Che cos’è la reputazione? È un gioco a dadi, secondo il direttore dell’autorevole Oxford University Centre for Corporate Reputation, Rupert Younger, già tra i comunicatori inglesi più noti e fondatore di Finsbury Group. Younger, assieme al collega David Waller, ha da poco dato alle stampe un volume che si intitola The Reputation Game: un’analisi accurata su che cos’è la reputazione, su quali basi possiamo “crearne” una e su quali sono le modalità più efficaci per influenzarla.

Reputazione: non la si crea dal nulla

Una premessa necessaria, destinata sia ai colleghi comunicatori sia ai professionisti il cui ruolo risente, nel bene e nel male, del capitale reputazionale accumulato dalla propria organizzazione di appartenenza: la reputazione non si costruisce dal nulla con sofisticati strumenti tecnici o semplicemente destinando risorse significative al suo eventuale miglioramento.

Primo, fissare gli obiettivi

Come tutto ciò che è immateriale e difficile da quantificare, se non con sondaggi rivolti a campioni rappresentativi della popolazione o dei propri stakeholder, dobbiamo innanzitutto partire dagli obiettivi che intendiamo raggiungere, oltre che dalla misurazione di ciò che esiste già. La nostra reputazione non sarà mai fine a sé stessa, ma sarà piuttosto volta a mettere a segno piccoli e grandi successi nei vari campi: soddisfare i nostri clienti, mantenere un clima di lavoro non conflittuale, essere ascoltati dai regolatori, assicurarsi una copertura mediatica favorevole che metta in giusto risalto i nostri motivi di orgoglio e i risultati raggiunti, promuovere un maggior livello di coesione nella forza lavoro, comunicare solidità e redditività ai propri azionisti e agli analisti finanziari.

Ma se la reputazione è davvero un gioco, come dice Younger, quali sono i dadi che ci troviamo tra le dita quando tocca a noi gestire la partita? Gli elementi di cui tenere conto, secondo lo studioso, sono essenzialmente tre: il nostro comportamento, i network nei quali siamo inseriti e la narrativa che siamo in grado di impostare. Non c’è un collegamento diretto, sottolinea Younger in un estratto del libro, tra ciò che facciamo e la nostra reputazione. Non è infatti rilevante solo ciò che si è, ma ciò che gli altri percepiscono di noi.

Apprezzamento che ci meritiamo

Chiunque di noi, come un’azienda o un grande manager, pensa di “meritarsi” un certo grado di apprezzamento da parte di chi ci conosce e lavora con noi, in virtù delle qualità che siamo certi di avere. Peccato che a innescare il processo reputazionale sia soprattutto la capacità, spesso data per scontata, di dare visibilità ai nostri punti di forza creando costantemente connessioni e reti di soggetti portati a farne esperienza diretta o indiretta.

Non si emerge spontaneamente 

Un esempio affascinante e molto semplice utilizzato da Younger: anche in campo creativo e artistico, se ci pensiamo bene, nessuno si aspetta che un talento naturale emerga spontaneamente, limitandosi a esercitarlo nel chiuso di una stanza o per un circolo ristretto di conoscenti. È l’inserimento in un network di settore e il ruolo di catalizzatore di un agente a far esplodere un talento e a renderlo riconoscibile al grande pubblico.

Goldman Sachs

Goldman Sachs è dipinta da media e commentatori come dedito eccessivamente al profitto.

La reputazione, dunque, inizia con le nostre azioni e viene diffusa tramite le reti che riusciamo a costruire. La terza freccia nel nostro arco, inutile dirlo, è ciò che trasmettiamo all’esterno: che cosa diciamo su noi stessi? Che cosa vorremmo che gli altri percepissero di noi? Che cosa desideriamo che gli altri associno, quasi naturalmente, a noi? Usando un termine entrato ormai di diritto nel vocabolario comune: quale storytelling siamo in grado di mettere assieme?

Goldman Sachs comunque attrattiva

Qui si innesca un dilemma reputazionale interessante, che mi ha colpito molto. Younger, nell’estratto del suo libro, cita infatti Goldman Sachs: un colosso della finanza globale dipinto da media e commentatori come dedito eccessivamente al profitto e poco incline alla valutazione degli impatti sociali delle sue attività, che sono però tra le più attrattive per chi ambisce a una carriera in questo settore e per le imprese che hanno bisogno di un buon advisor.

Suddivisione degli interlocutori 

Ignorare quindi la percezione negativa da parte di certi pubblici e concentrarsi solo su quelli che utilizzano altri metri di paragone? No, in realtà il “dilemma” si risolve familiarizzando con il concetto che ho citato di frequente in questa rubrica: la suddivisione dei nostri interlocutori in segmenti tematici, in modo da costruirci una reputazione sempre più sfaccettata.

Rolls Royce Lavoratore

Rolls-Royce produce motori per l’aeronautica.

Che può rivelarsi un grande valore aggiunto quando il nostro capitale viene momentaneamente assottigliato da circostanze avverse. Younger cita l’interessante storia di Rolls-Royce, nota in tutto il mondo per la produzione di motori per l’aeronautica. Il guasto al motore di un aereo di linea, avvenuto nel 2010, non ebbe sulla reputazione dell’azienda un danno d’immagine irreparabile come ci si potrebbe aspettare, così come un caso di corruzione internazionale che venne a galla nel 2016.

Percezione di eccellenza

In questo caso, afferma Younger, la consapevolezza da parte dei diversi pubblici di riferimento dell’inscalfibile primato tecnologico del gruppo ha agito da cuscinetto per mitigare l’urto di piccoli incidenti di percorso. Certo, i messaggi diffusi nelle due circostanze sono stati diversi e di diverso tipo (di rassicurazione ai passeggeri e alle compagnie aeree nel primo caso, di trasparenza nei confronti delle autorità competenti nel secondo), ma entrambi hanno sicuramente beneficiato di una solida “percezione” di eccellenza e affidabilità che ha messo al riparo Rolls-Royce dai rischi di lungo termine di un’improvvisa perdita di fiducia da parte degli stakeholder.

Qualità da evidenziare 

Una reputazione multipla, dunque, perché declinata a seconda dei nostri interlocutori e in grado di farci da scudo se ciò che siamo percepiti essere corrisponde effettivamente al vero. Un gioco, quello della reputazione, che necessita di azioni adeguate, reti di relazioni costantemente curate e di una narrazione che associ l’inevitabile messa in evidenza delle nostre qualità con la dote più complessa da ottenere: la credibilità.

https://www.lettera43.it/author/gianlucacomin/?refresh_ce

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