
Quando la scrittura si fa immagine
di intervista a Pietro Terzini di Elisa Russo
Pietro Terzini è un architetto e visual artist italiano, che fonde l’arte tradizionale con il linguaggio immediato e virale dei social media, creando opere che vanno oltre la semplice rappresentazione visiva. Con uno stile che unisce testo e immagine, i suoi lavori rendono il confine tra arte e comunicazione sempre più labile. Dai Direct Mail di Instagram ai grandi brand della moda, Pietro Terzini coglie le dinamiche del digitale, trasformandole in una forma d’arte accessibile e immediata. In questa intervista, ci ha raccontato il percorso che lo ha portato a diventare un protagonista di questa nuova era della creatività, in cui i social media non sono solo vetrine, ma veri e propri strumenti di espressione e condivisione globale.
Quando hai scoperto il potenziale dei social per esprimere la tua creatività e le tue idee?
Dopo la laurea cercavo l’indipendenza: avevo 24 anni e vivevo ancora in casa con miei. In quegli anni stavano esplodendo i social media e dopo aver frequentato un master in marketing ho iniziato a lavorare per il brand di Chiara Ferragni.
Era il 2015 o il 2016, Instagram stava diventando il social media dominante grazie alla sua semplicità: vi si trovavano profili e pagine che rappresentavano subculture nate su piattaforme come Tumblr, ispirate a estetiche non convenzionali: foto grezze, graffiti, meme, frasi estrapolate da chissà dove. Sono partito riflettendo sulle opportunità di una piattaforma in grado di dare visibilità quello che facevo. Del resto, l’elemento testuale è da sempre presente nella storia dell’arte, basti pensare ad Alighiero Boetti. Convinto che se avessi espresso un’idea tramite un’immagine avrebbe potuto essere condivisa da molte persone, ho cominciato a postare ogni giorno screenshot delle chat di Instagram, i Direct Mail. Il testo diventava immagine, eliminando qualsiasi tipo di velleità, rispondendo a un principio di estrema sintesi.
Come nascono le collaborazioni con i brand?
Solo qualche anno dopo ho cominciato a realizzare opere fisiche: era il 2016 o forse il 2017 e i brand di moda iniziavano a comunicare, associando i propri prodotti a valori come il femminismo, il mito della giovinezza, l’inclusività. Il lusso stava penetrando nella cultura popolare, rivolgendosi alle persone comuni, pur non essendo accessibile a tutti. Ho scelto di partire dai packaging di questi brand – confezioni accattivanti e super colorate – e ad impiegarle come sfondi, su cui scrivere frasi con una grafia sgangherata, quasi fatta a mano. Erano dei lavori che potevano diventare contenuti di Instagram, ma anche opere, quadri da appendere alle pareti.
Il progetto è piaciuto alla Rosenbaum Contemporary, una galleria americana, e presto alcuni collezionisti hanno iniziato ad acquistare le mie opere, portando la mia notorietà anche in Europa. Alcuni dei brand che avevo impiegato per la creazione delle mie opere si sono accorti che questo modo di comunicare era interessante, e sono nate le prime collaborazioni, campagne pubblicitarie, sia online, sia off line. Il principio alla base delle mie opere era e rimane uno: creare opere che nel mondo digitale possano essere condivise, offrendo agli utenti uno strumento per veicolare messaggi.
Perché hai scelto di rendere la scrittura immagine testuale?
La scrittura è uno tra i medium più versatili: basta visitare i principali musei europei o passeggiare per le nostre città per notare l’incredibile quantità di elementi artistici legati alla grafia. Con il mio lavoro ho solo adattato la scrittura alla nostra epoca. La rivoluzione dei social media è paragonabile a quella dell’invenzione della stampa di Gutenberg: oggi, con un telefono e un social network è possibile condividere qualsiasi cosa con chiunque nel mondo, e la scrittura è il miglior modo per farlo. Può essere applicata su un pezzo di carta, su indumenti o sulla pelle con i tatuaggi. Ho voluto rendere il mio lavoro accessibile a tutti, eliminando le barriere linguistiche e per questo ho scelto l’inglese, la lingua di internet. Inoltre, ho optato per la sintesi, perché oggi è tutto veloce e la gente non ha tempo.
Cosa è cambiato con i social media?
Fino a qualche anno fa mondi come l’arte, la moda, l’editoria erano esclusivi, riservati a un’élite. Oggi basta pensare alla figura dell’influencer per comprendere quanto sia cambiato il panorama: le persone non acquistano più riviste perché dispongono di informazioni sul proprio smartphone e i brand hanno compreso le opportunità offerte dal digitale. Da qui nasce l’esigenza delle aziende di comunicare su canali non tradizionali, perché il pubblico ormai si intercetta sullo schermo del telefono. Ma online le regole sono diverse: funzionano di fotografia e contenuti imperfetti, homemade, più credibili perché più vicini alla quotidianità delle persone comuni. Per comunicare al mass market, e convertire la comunicazione in acquisto, il tono non può più essere austero e distante come era prima dell’avvento del digitale.
Quale sarà il futuro della moda e della comunicazione?
La moda è diventata un business gigantesco, all’interno del quale qualsiasi brand ha come obiettivo la crescita, possibilmente costante ed esponenziale. Ma per crescere, i brand devono produrre, sia prodotti, sia contenuti di comunicazione, in una dinamica destinata a implodere: l’offerta di prodotti non necessari è infinita, i costi pubblicitari sono altissimi, e la nicchia di persone in grado di acquistare determinati prodotti si restringe sempre più, poiché molti di questi brand si rivolgono alla stessa piccolissima fetta di mercato.
In un sistema globalizzato, interconnesso e consumistico come il nostro, tutto è lecito: potenzialmente si ha la possibilità di far crescere il proprio business a livello globale, e il marketing continuerà a cercare idee che funzionino sui canali dove le campagne ottengono maggiore visibilità, e con l’evoluzione dell’hardware emergeranno nuovi strumenti.
Cosa ti ha spinto a coniugare architettura, design di moda e arte?
All’università avrei voluto iscrivermi a una scuola di moda, ma mia madre mi fece riflettere su un punto: un architetto può essere designer, ma un designer non può essere architetto. Così ho scelto di frequentare il Politecnico. Durante il mio percorso universitario, ho acquisito le reference accademiche, basate sull’arte astratta e non figurativa, un linguaggio sintetico, fatto di poche linee per esprimere molti concetti.
Uno dei miei professori, Michele Bertolini, incoraggiava lo sviluppo di qualsiasi idea, purché fosse portata al limite delle sue potenzialità e inserita in un contesto. È stato un periodo di formazione fondamentale, durante il quale ho iniziato a creare quadri ispirati a ciò che studiavo.
Pietro Terzini è un artista nato nel 1990 laureato in architettura. Il suo lavoro spazia dal digitale alla f ine art, passando per la street art. Al centro della sua arte c’è infatti il mondo contemporaneo in cui la moda gioca un ruolo centrale insieme al capitalismo, al consumismo e all’amore nell’era dei social media. L’artista collabora con alcuni dei più importanti brand del mondo, tra cui Nike e Tod’s, e ha esposto le sue opere in Italia, Svizzera e negli Stati Uniti.
Immagine: © Pietro Terzini