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Cancellare Per Rivelare

Cancellare per rivelare

di intervista a Emilio Isgrò

Nel suo Autocurriculum Emilio Isgrò smentisce che le sue cancellature siano state ispirate dalle correzioni che da responsabile della sezione cultura de “Il Gazzettino” faceva sugli articoli tra il 1960 e il 1967. Questa “leggenda” sarebbe solo un “pretesto narrativo” da lui stesso diffuso per rendere più notiziabile la sua attività artistica, come racconta: «Ho sempre avuto interesse per la comunicazione, ne sono dimostrazione anche le prime poesie con cui ho esordito e l’attività di giornalismo che ho fatto da giovane. La comunicazione dell’arte è diversa dalla comunicazione giornalistica perché si pensa che possa o debba comunicare una realtà meno prevedibile di quella dei giornali».

Dagli anni ’60 ad oggi lo scenario dell’informazione è mutato radicalmente, e l’onda della rivoluzione digitale ha stravolto la produzione, la distribuzione e il consumo delle informazioni: «Oggi osservo l’evoluzione dei media e dell’informazione come una sorta di “fusione nucleare” che sfugge a ogni controllo, perché le fake news alimentano fake news, l’artificio genera l’artificio e apparentemente non se ne viene a capo. Questa è la mia impressione d’artista, epidermica: assistiamo a un succedersi infinito di episodi, rispetto ai quali non riusciamo a capire quali siano le cause. Ad ogni modo, è pur sempre meglio avere più informazioni invece che nessuna». 

Il crollo delle certezze
La democratizzazione dell’informazione, la sua velocità di diffusione e frammentazione, l’interattività e la partecipazione hanno plasmato un nuovo sistema, spiega il Maestro: «Sono crollate le certezze del Novecento e se da un lato abbiamo desiderato la massima apertura dell’informazione, certamente preferibile alla censura, d’altra parte ci ritroviamo di fronte a un continuo stimolo di notizie che arrivano una dopo l’altra, senza sapere da dove provengano o perché. L’informazione è diventata incontrollabile: quando ero giovane e facevo il giornalista, ogni mattina sulla mia scrivania trovavo la mazzetta dei giornali, dai dieci ai quindici quotidiani nazionali che la redazione mi metteva a disposizione per fare il mio lavoro. Li leggevo e mi era chiaro perché una determinata notizia era presentata in un certo modo, conoscevo e riconoscevo l’editore, quali fossero le sue predilezioni politiche, a quali obiettivi rispondesse. Ma come è possibile verificare l’attendibilità di una notizia oggi? Dove stiamo andando?». 

L’arte come strumento politico
Con l’avvento dei social media la comunicazione è diventata più rapida e concisa, la parola più superficiale e manipolata: «Credo che l’arte sia la sola che possa usare le parole nel modo giusto e depurarle da ogni significato non congruo, ammesso che sia possibile rimuovere i vari significati che si accumulano sulle parole. L’arte è oggi lo strumento più politico che ci sia, e il suo compito è quello di rendere trasparente la realtà del mondo, nel mio caso, cancellando, in altri casi con altre tecniche. Il compito dell’arte è registrare e rappresentare con la massima precisione non la realtà del mondo, ma la realtà del linguaggio che il mondo stesso rappresenta».

Cancellare per innovare
La relazione tra tecnologia e comunicazione è sempre stata complessa, e l’innovazione prima di essere abbracciata è sempre stata osservata con diffidenza: «Guardo all’evoluzione della tecnologia nella comunicazione con attenzione, ma anche con un certo sospetto. Anche Platone si allarmò di fronte all’introduzione della scrittura perché pensava che la memoria umana sarebbe sparita, e allo stesso modo odiava la poesia in quanto manipolatrice, eppure era lui stesso un grande poeta. All’inizio del mio percorso il critico Pierre Restany, interpretava le cancellature come le schede perforate delle prime macchine elettrometriche, quelle della IBM. Non è impossibile che le mie stesse cancellature abbiano subito l’influenza dell’introduzione di nuove tecniche di comunicazione, quasi sicuramente è così».

L’importanza della parola
Le cancellature di Emilio Isgrò sono quasi una reazione a quanto accadeva negli anni ’60 negli Stati Uniti: la Pop Art dilagava utilizzando immagini e oggetti della cultura di massa, celebrando l’iconografa, la sua immediatezza e potenza: «Quando ho cominciato a fare arte era in corso l’esplosione della Pop Art e della società hollywoodiana, fondate sostanzialmente sulla visualità o sulla spettacolarità delle cose. Mi sono domandato cosa sarebbe stato della parola umana sulla quale, oltretutto non solo era fondata l’antica civiltà greca, quindi l’Occidente, ma anche la religione: basta pensare al monoteismo degli ebrei, dei cristiani e degli islamici. Se il mondo nasce dalla parola e i teologi ne sono certi, cosa implica cancellarla?».

Sottrarre per liberare
Le opere di Emilio Isgrò manipolano la realtà culturale e sociale «Scelgo i testi da cancellare in base alla conoscenza e alla fruizione che il pubblico ne ha, proprio come le tragedie greche partivano dai poemi omerici, per poi smentirli nel corso della rappresentazione. A volte si parte dall’ovvio per poterlo modificare e vedere in un modo diverso. Scelgo le parole da cancellare sulla base del testo che ho davanti con una tecnica di sottrazione, non lontana da quella che Michelangelo impiegava nella scultura, operando con lo scalpello per tirar fuori una forma intrappolata nella materia stessa. Cancello immagini e parole, a volte insieme, e così la parola cancellata diventa essa stessa un’icona». Dimostrazione di questo approccio è Non uccidere, una delle ultime opere del Maestro, dedicata al 75° anniversario della Costituzione: «Ho fatto per il Museo Nazionale delle arti del XXI secolo, un progetto magnifico, insieme con l’amico e architetto Mario Botta. Ho cancellato in 11 lingue 9 dei 10 comandamenti, la legge delle leggi, anche dei laici lasciando leggibile solo il quinto: non uccidere».

Solo la mano che cancella può scrivere il vero
Le opere di Emilio Isgrò sono parte delle collezioni di istituzioni internazionali, dal Centre Pompidou di Parigi al Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, eppure l’apprezzamento delle sue opere non fu immediato, specialmente da parte del mondo intellettuale. L’amico Eugenio Montale smise di parlargli: «Il valore che il pubblico attribuiva alla cancellatura era negativo perché la associava alla sua immediata capacità di impedire la lettura, ma la mia cancellatura è un modo per evidenziare e far vedere. D’altra parte il mistico medievale tedesco Meister Eckhart con poche parole sibilline scioglie il dilemma: solo la mano che cancella, può scrivere il Vero. Cosa vuol dire? Che se perdiamo la nostra capacità di dubitare, rischiamo di non avere più qualcosa in cui riconoscerci».

 


Emilio Isgrò
Artista concettuale – ma anche poeta, scrittore, drammaturgo e regista – Emilio Isgrò vive e lavora a Milano, dove espone fin dai primi anni ’60. La cancellazione è il suo segno distintivo che diventa gesto artistico di affermazione di nuovi significati: allo stesso modo la sua pratica rimane in bilico tra l’arte della poesia visiva e quella concettuale, confermando la sua produzione artistica come un unicum nel panorama creativo italiano e internazionale. Tutto il suo lavoro è sperimentazione giocata su vari piani: il significato della parola, i suoni dei sintagmi, la collocazione della parola all’interno della frase e l’effetto visivo della distribuzione della scrittura nello spazio sono i caratteri distintivi della poetica dell’opera di Emilio Isgrò fino ad oggi.

 

Immagine: Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1808-1810, Alte Nationalgalerie, Berlino

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